IL LAVORO E
IL PROGRESSO SOCIALE
“ Il compito sommo degli istituti umani , fra
cui anche il progresso , sia quello non solo di preservare gli uomini da
sofferenze inutili e da morte precoce , ma anche di conservare nell’uomo tutta
la sua umanità : la gioia del lavoro svolto con l’intelligenza delle mani e
della testa , la gioia del mutuo soccorso e di un rapporto felice con gli
uomini e con la natura , la gioia della conoscenza dell’arte . “
(
A.D.Sacharov -fisico sovietico –
1921/1989 )
IL LAVORO e la
POLITICA
E’ perfettamente inutile e anche demagogico
continuare a sostenere , a parole e nelle interminabili discussioni in tavole
rotonde di riunioni politiche e in tv , che il
“ lavoro “
rappresenta il fattore fondamentale della nostra Repubblica Democratica ( Art. 1 della Costituzione ) e che esso è
indispensabile per la crescita sociale ed economica del Paese , se poi
non viene evidenziato e affrontato seriamente l’aspetto più importante , costituito dalla
esistenza delle condizioni necessarie a
che il lavoro stesso possa realizzarsi
effettivamente , efficacemente .
Il “ lavoro “
è come il seme di una pianta . In esso sono contenute tutte
le energie , le potenzialità delle idee , dei progetti , delle invenzioni concepite dalle intelligenze più brillanti
, ma
come ogni seme , il “lavoro “ ha bisogno di essere interrato in un
ambiente salubre , ricco di sostanze nutritive , che gli consentano di svilupparsi , di
crescere e di trasformarsi in una pianta rigogliosa e fruttifera. Il “ lavoro “
ha bisogno di condizioni sociali e politiche sane e giuste , di provvedimenti
oculati , rivolti alla utilizzazione più proficua delle risorse umane e
ambientali , alla cura a che la pianta sana non venga soffocata da sterpaglie ,
cioè che l’opera sana dell’uomo onesto e laborioso non venga sopraffatta dall’arroganza e dallo
sfruttamento di mani malavitose , da una maldestra politica collusa con
interessi speculativi e faziosi , che divorino ogni fonte di ricchezza ,
inaridendo ogni possibilità di crescita e di sviluppo sociale.
A tal fine ,
è la scelta del contadino onesto e competente
a determinare la condizione indispensabile alla buona riuscita della
semina ; è la scelta della classe politica onesta e competente a determinare
risultati positivi per la vita sociale di una comunità.
Si potrà
dire che il problema del “lavoro “ e
quindi della occupazione presenta in questi
tempi aspetti abbastanza complessi , che richiedono soluzioni non facili
, ma sempre possibili .
Sia per il
fenomeno della globalizzazione dei mercati , sia della crisi generalizzata in
materia economica e finanziaria , sia anche
a causa del fenomeno straordinario ed
epocale della immigrazione . Il
mondo industrializzato richiede sempre più la esigenza di personale
specializzato e di più elevata professionalità
e sempre meno di quello addetto a lavori manuali , di operai , che
vengono sostituiti da macchine e da robot.
Il settore del terziario rappresenta il campo nel quale poter trovare
forme e posti occupazionali , sia in settori commerciali di elevate dimensioni ( ipermercati ) , sia
in campo telematico e di servizi ( call center ) . Ma anche in tali settori
emergono problemi sotto il profilo
occupazionale e retributivo, in quanto che la domanda di lavoro supera di gran
lunga l’offerta e inoltre , prevale la tendenza ad utilizzare risorse umane ,
sia di residenti sia di immigrati ,
sfruttandone i bisogni e quindi sottopagandole o pagandole in nero , nonché a delocalizzare le imprese in paesi
più favorevoli dal punto di vista fiscale e dove più basso è il costo del
lavoro.
Nonostante
che tali situazioni di complessità inducano ad una pessimistica visione del
presente e del futuro riguardo a prospettive di sviluppo e miglioramento delle
condizioni socio-economiche della
popolazione e in particolare dei giovani,
vi è ancora spazio per porvi rimedio e vi sono possibilità , se volute , di rivedere le regole sui rapporti di lavoro, che contemplino le esigenze di un mondo produttivo di beni e servizi nuovi , più moderni , con le esigenze di salvaguardia di diritti fondamentali a tutela di chi lavora , di chi presta la propria opera come dipendente , non solo dal punto di vista retributivo , bensì anche riguardo alle norme contrattuali della continuità del rapporto lavorativo stesso .
Infatti , permangono comunque fattori obiettivi di positività occupazionale in settori professionali moderni , tecnologici , informatici , con applicazioni in materia commerciale , in materia agro-alimentare , nel campo delle comunicazioni , nel settore aero-spaziale e satellitare , dell’abbigliamento , della moda , trasporti e turismo ,
nel recupero di opere d’arte , di monumenti architettonici storici , etc….
vi è ancora spazio per porvi rimedio e vi sono possibilità , se volute , di rivedere le regole sui rapporti di lavoro, che contemplino le esigenze di un mondo produttivo di beni e servizi nuovi , più moderni , con le esigenze di salvaguardia di diritti fondamentali a tutela di chi lavora , di chi presta la propria opera come dipendente , non solo dal punto di vista retributivo , bensì anche riguardo alle norme contrattuali della continuità del rapporto lavorativo stesso .
Infatti , permangono comunque fattori obiettivi di positività occupazionale in settori professionali moderni , tecnologici , informatici , con applicazioni in materia commerciale , in materia agro-alimentare , nel campo delle comunicazioni , nel settore aero-spaziale e satellitare , dell’abbigliamento , della moda , trasporti e turismo ,
nel recupero di opere d’arte , di monumenti architettonici storici , etc….
Tutto un
mondo lavorativo e di produttività che si apre a chi è più preparato , a chi
possiede più attitudini in campo professionale , ed è per questo che si rivela
assai importante la “ politica “ , della
classe dirigenziale di un Paese , la capacità di programmazione , di formazione
professionale per i giovani , di organizzazione strutturale e funzionale degli
apparati amministrativi e burocratici , la gestione corretta e legale delle
risorse umane e ambientali , la capacità di affrontare le problematiche sociali
seguendo criteri di economicità , di giustizia e di equità , di sostegno verso
i ceti meno abbienti , al fine di evitare di determinare condizioni drammatiche
di sperequazione , sia dal punto di vista economico e finanziario , sia sotto
l’aspetto della emarginazione sociale . Nonché evitare che si determinino
situazioni ambientali di degrado e di trascuratezza nelle manutenzioni e nei
controlli sull’ambiente e sulle strutture , con particolare riguardo agli
interventi diretti ed appalti su opere
pubbliche ( strade , ponti , fiumi , torrenti , strutture scolastiche ,
ospedaliere , porti , vie e mezzi di
collegamento ferroviario , marittimo , aereo ) ; tutti interventi che
andrebbero promossi dal Governo e dalle Istituzioni pubbliche ; investimenti che
favorirebbero e potrebbero soddisfare una ampia richiesta di occupazione e
lavoro da parte di persone e di imprese , grandi e piccole e medie e che avrebbero inevitabilmente un ritorno di
produttività di ricchezza economica e sociale , di funzionalità , di sviluppo e
di benessere per la vita della comunità.
Tutto il
resto , sono soltanto chiacchere e
“prese in giro “ !
IL LAVORO PRECARIO
Fortunatamente , negli ultimi tempi sono sorte iniziative meritorie nel
nostro territorio nazionale da parte di privati cittadini e di piccole imprese
, attraverso la creazione di “ start up “ , per
lo più composte da giovani imprenditori , i quali hanno rivolto le loro idee
progettuali verso attività di ricerca , di ammodernamento e di sfruttamento
delle risorse naturali , delle energie alternative , come anche di riciclaggio
di materiale plastico , metallico , ferroso , recuperato attraverso la raccolta
differenziata dei rifiuti, per la
trasformazione del materiale in nuovi e diversi oggetti utili ; al recupero di
prodotti naturali , come la lana delle pecore , per la manifattura di capi di
abbigliamento ..etc…. In pratica , iniziative rivolte a dare sviluppo ad una “economia circolare “, potenzialmente capace di
offrire molteplici ed interessanti occasioni ed opportunità di lavoro , anche
per centinaia di migliaia di persone nei prossimi anni .
IL LAVORO PRECARIO
I V O U C H E R
I risultati conseguiti dalla istituzione dei Voucher
sul problema del lavoro non sono stati affatto soddisfacenti .
I voucher da 10 euro destinati sulla carta a remunerare le
prestazioni di lavoro occasionale non fanno emergere il sommerso , ma servono piuttosto a inquadrare una forma di
lavoro precario e a basso costo, costringendo chi viene pagato in questo modo in un
circuito da cui è difficile uscire .
A conti
fatti, per i ricercatori dell’Inps, l’introduzione dei voucher non ha portato grandi
svolte nel mondo del lavoro. Ha sostanzialmente solo sostituito altri contratti
di lavoro parasubordinato già esistenti offrendo soluzioni
più flessibili e meno costose per le aziende. E soprattutto ha creato nuove sacche di precariato sfruttate dalle piccole aziende per abbattere il
costo del lavoro con un sistema di pagamento che ha anche un basso costo burocratico-amministrativo. Con il “rischio continuo di
trasformare una domanda
episodica di prestazioni accessorie (aggiuntive) in una domanda di lavoro continuativamente accessorio”.
Riguardo a
chi riceve i voucher, non si tratta di
persone che hanno già un impiego fisso e
che tentano di arrotondare , ma piuttosto di lavoratori precari che non
riescono a sbarcare il lunario.
In ordine ai rilievi avanzati sulla
efficacia dei Voucher , il Consiglio dei ministri ha dato il via libera
al decreto correttivo del Jobs act che introduce novità volte a
garantire la tracciabilità dei cosiddetti buoni lavoro del valore
nominale di 10 euro utilizzati in diversi settori, dal turismo
all’agricoltura, per il pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio.
Ma il testo approvato non apporta quelle modifiche che primi fra
tutti i sindacati chiedono da tempo. In più occasioni, infatti, i
rappresentanti dei lavoratori hanno sottolineato la necessità di “escludere
interi settori dall’utilizzo dei buoni per non alimentare il lavoro nero” e di
imporre un tetto massimo di ore al loro impiego in azienda, perché “le
prestazioni pagate con i voucher siano effettivamente residuali”.
Il nuovo testo ,che ne disciplina l’utilizzo , fissa
invece l’obbligo per l’azienda di comunicare all’Ispettorato del lavoro,
mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del
lavoratore, il luogo e la durata della prestazione di lavoro accessorio, almeno
60 minuti prima dell’inizio della prestazione stessa.
Per quanto riguarda, invece, il
settore dell’agricoltura, in questo ambito i committenti sono tenuti a
comunicare, nello stesso termine e con le stesse modalità, i dati anagrafici o
il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione di
lavoro accessorio con riferimento ad un arco temporale non superiore a 3
giorni. E non più, quindi, a 7 giorni come previsto nello schema a maglie
larghe del decreto correttivo approvato in via preliminare a giugno scorso.
E sempre per il settore
dell’agricoltura, l’utilizzo del lavoro accessorio rimane soggetto al limite
generale dei 7mila euro per lavoratore. In caso di violazione degli
obblighi di comunicazione sarà applicata la stessa sanzione prevista per il
lavoro intermittente, ossia la sanzione amministrativa che va da 400 a
2.400 euro in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la
comunicazione.
“Le integrazioni apportate – si legge in una
nota del Consiglio dei ministri – sono volte a garantire la piena
tracciabilità dei voucher”.I sindacati ritengono ciò un passo in avanti, ma
che non può bastare però a fermare la deriva”. Perché se la legislazione sul
lavoro del governo Berlusconi ha esteso i voucher a tutti i settori e la
legge Fornero ha cancellato il riferimento all’attività occasionale, il Jobs act ha aggravato la situazione,
alzando il tetto retributivo da 5mila a 7mila euro l’anno. Il risultato
di questi interventi ha determinato che , secondo le cifre fornite da Inps
,i voucher sono diventati l’unica fonte di reddito per il 37% dei lavoratori
che li ricevono. Che sono passati dai 24mila del 2008 agli 1,4 milioni del
2015, anno un cui è stato registrato un incremento nel loro utilizzo del 66%
rispetto al 2014, per un totale dichiarato di 115 milioni di ore.
Il ministro del Lavoro e delle Politiche
Sociali, Giuliano Poletti ha già annunciato che alle modifiche legislative
si aggiungeranno anche controlli specifici sul territorio. Ma i
sindacati hanno molte perplessità riguardo alla possibilità che questo
intervento, pur necessario, potrà bastare da solo a impedire i comportamenti
illegali da parte delle aziende che, ad esempio, acquistano il voucher per
poi utilizzarlo solo in caso di un controllo ispettivo..
A questo punto sarebbero necessari
interventi ad hoc “per ricondurre l’utilizzabilità dei buoni alle
attività effettivamente stagionali per fare realmente pulizia nel mercato del
lavoro”.Tra i settori in cui “i voucher dovrebbero essere eliminati” al primo
posto c’è “l’edilizia, dove sono state
registrate le maggiori speculazioni”.
Bisognerebbe ricondurre l’istituto del voucher alla sua origine”, perché
la sola introduzione delle novità sulla tracciabilità non potrà evitare di lascare comunque
“milioni di lavoratori in un’area grigia senza diritti, fatta di precariato e povertà”.
LA POVERTA’
IN ITALIA
E’ vergognosamente
inconcepibile , scandaloso , che in una Società “ civile “ , come
l’Italia , in cui il 71 % in media fra nord
e sud delle famiglie sono proprietarie di casa e
dove sono in circolazione circa 37 milioni di autovetture , vi siano
ancora persone costrette a vivere in condizioni di “ povertà
assoluta “ ( circa 4,5 milioni ) .
La cosa più
scandalosa e assolutamente non più sopportabile , è il fatto che persista
pervicacemente il mantenimento di troppo elevati emolumenti economici e
nella specie dei vitalizi ancor più scandalosi , che continuano ad
essere attribuiti e regolarmente fruiti da parlamentari , come anche i
casi di troppo elevati emolumenti , fra stipendi e indennità varie ,
percepiti cumulativamente sia da parlamentari che da altre persone che
ricoprono cariche politico-istituzionali , mentre la povertà
in Italia aggredisce milioni di persone , che
sono ridotte allo stremo , le quali devono la loro sopravvivenza solo a quelle
altre persone , fortunatamente non poche , ma sempre insufficienti , che
danno loro , volontariamente , singolarmente , in modo personale
spontaneo , oppure in strutture onlus , una qualche assistenza
,soprattutto alimentare oltre che di natura psicologica e possibilmente di una
relativa, limitata e provvisoria sistemazione , come riparo dagli agenti
esterni.
E’
vergognosamente colpevole quel Governo
che non riesce , perché non vuole
o perché non è capace , a reperire le
risorse economiche necessarie , che possono ricavarsi dalle fonti finanziarie
più ricche e dai redditi più
elevati di quella parte della
collettività che è più agiata , per consentire a chi è in
condizioni di povertà , o addirittura
di “povertà assoluta “ , di poter
fruire gratuitamente di una abitazione umanamente dignitosa , e di una assistenza socio-sanitaria , oltre che di una
minima basilare fonte di reddito individuale. Negli 8.101 comuni d’Italia è
enorme il numero delle abitazioni e degli immobili ad uso
commerciale e terziario non utilizzati, vuoti e sfitti. (Quasi cinque milioni in Italia,
possono essere nuovi beni comuni ).
. Da quando
è stato abolito il servizio di leva obbligatorio, centinaia di caserme dismesse
sono state abbandonate al degrado e all'incuria e che potrebbero essere utilizzate per fare
fronte all'emergenza abitativa, per i cittadini privi di una abitazione.
Oggi la
Chiesa in Italia possiede circa 100 mila immobili, tra i quali vi sono 9 mila
scuole, 26 mila tra chiese, oratori, conventi, campi sportivi e negozi e 5 mila
tra cliniche, ospedali e strutture sanitarie e di vario genere. Più difficile
capire quanti siano hotel, residence e strutture ricettive in genere, perché
per la maggior parte sono di proprietà di ordini di frati e suore, e non delle
diocesi.
Si tratta comunque di molte migliaia di imprese, perché tali sono, e Papa Francesco oggi prova a scongiurare l'avanzata della componente ecclesiale più orientata al business che alla carità di cui c'è sempre più bisogno.
Si tratta comunque di molte migliaia di imprese, perché tali sono, e Papa Francesco oggi prova a scongiurare l'avanzata della componente ecclesiale più orientata al business che alla carità di cui c'è sempre più bisogno.
Note sulla
“ povertà “ in Italia
Considerando
che nella popolazione italiana ( circa 60 milioni e 700.000 ) vi sono circa
4 milioni e centomila di
persone in povertà assoluta ,
(circa il 6,8
% ) e altri 6 milioni ( circa il 10 % ) in povertà relativa .
Del
totale della popolazione italiana
Il 20% più ricco ( circa 12 milioni di persone ) detiene il 61,6% della ricchezza , e anche nella fascia più ricca, la distribuzione è nettamente squilibrata a favore del vertice. Infatti , Il 5% ( circa 3 milioni di persone ) più ricco della popolazione detiene il 32,1% della complessiva ricchezza nazionale .
Il 20% più ricco ( circa 12 milioni di persone ) detiene il 61,6% della ricchezza , e anche nella fascia più ricca, la distribuzione è nettamente squilibrata a favore del vertice. Infatti , Il 5% ( circa 3 milioni di persone ) più ricco della popolazione detiene il 32,1% della complessiva ricchezza nazionale .
Mentre il 20%
( 12 milioni di persone ) è appena al di sotto del 20,9% della ricchezza .
Il restante 60% ( 36
milioni di persone ) si deve accontentare del 17,4%
della ricchezza nazionale, e dei
quali il 20% ( 12 milioni di persone ) più povere , ha
appena lo 0,4 % della ricchezza.
MISURE CONTRO LA POVERTA’ IN ITALIA
Gli ultimi
dati Istat sono un nuovo monito sulla crescita della povertà in Italia. Nello
stesso giorno della loro pubblicazione, la Camera ha approvato il disegno di
legge delega che prevede l’istituzione del reddito di inclusione.
Recentemente l’Istat ha comunicato che nel nostro paese sono oltre 8,3 milioni le persone in condizioni di povertà relativa (ossia quando una famiglia di due componenti spende meno della singola persona media), mentre sono 4,5 milioni quelle in povertà assoluta
Il reddito di inclusione è una misura strutturale di lotta alla povertà, il disegno di legge delega, che dopo varie modifiche è stato approvato proprio il 14 luglio 2016 dalla Camera dei deputati.
Il disegno di legge, centrato attorno al cosiddetto reddito di inclusione, è caratterizzato da tre aspetti importanti, finora trascurati nel sistema di lotta alla povertà in Italia: universalità, efficienza e complementarietà a un reinserimento nel mercato del lavoro e nel contesto sociale di appartenenza. Il reddito sarà universale rivolgendosi, uniformemente su tutto il territorio nazionale, a tutti coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà assoluta; l’assegnazione avverrà a livello di nucleo familiare e sarà basata sull’indicatore della situazione economica equivalente (Isee). In attesa dei decreti attuativi, il governo sostiene che l’ammontare elargito arriverà fino a 320 euro al mese.
Una delle critiche maggiori al Ddl è la limitatezza della platea a cui si rivolge. Con lo stanziamento di soli 1,6 miliardi per i primi due anni, la misura non raggiungerà tutti coloro che versano in condizioni di povertà; secondo l’Alleanza contro la povertà il provvedimento potrà raggiungere al massimo il 30 per cento degli indigenti, ovvero circa 1,3 milioni di persone. In particolare, il reddito darà la priorità ai nuclei familiari con figli minori, con disabilità grave, con donne in stato di gravidanza accertata o con persone con più di 55 anni di età in stato di disoccupazione. Il Ddl rimane poi vago sullo stanziamento a regime, menzionando che partirà da un miliardo e verrà esteso in base alle risorse contingenti. La proposta originale dell’Alleanza contro la povertà, invece, prevedeva uno stanziamento graduale del reddito d’inclusione ma con un costo a regime di circa 7,1 miliardi annui. Le risorse arriveranno dal Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, istituito con l’ultima legge di stabilità, e coperto dalla fiscalità generale, in quanto le economie derivanti dal riordino delle prestazioni di natura assistenziale, sebbene destinate al fondo, sono considerate eventuali. L’Italia si colloca agli ultimi posti in tutta l’Unione Europea per quanto riguarda l’efficacia delle misure di contrasto alla povertà. Nel 2014 i trasferimenti sociali e gli interventi di sostegno nel loro complesso hanno diminuito la percentuale di popolazione a rischio di povertà del 5,3 per cento contro la media europea dell’8,9 per cento; solo Grecia e Romania hanno fatto peggio di noi. Un intervento strutturale e organico nel contrasto alla povertà, ispirato a principi universalistici, e un riordino del sistema assistenziale, ora frammentato e inefficiente, potrebbero finalmente migliorare queste statistiche in un momento in cui la coesione sociale è sempre più a rischio.
Recentemente l’Istat ha comunicato che nel nostro paese sono oltre 8,3 milioni le persone in condizioni di povertà relativa (ossia quando una famiglia di due componenti spende meno della singola persona media), mentre sono 4,5 milioni quelle in povertà assoluta
Il reddito di inclusione è una misura strutturale di lotta alla povertà, il disegno di legge delega, che dopo varie modifiche è stato approvato proprio il 14 luglio 2016 dalla Camera dei deputati.
Il disegno di legge, centrato attorno al cosiddetto reddito di inclusione, è caratterizzato da tre aspetti importanti, finora trascurati nel sistema di lotta alla povertà in Italia: universalità, efficienza e complementarietà a un reinserimento nel mercato del lavoro e nel contesto sociale di appartenenza. Il reddito sarà universale rivolgendosi, uniformemente su tutto il territorio nazionale, a tutti coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà assoluta; l’assegnazione avverrà a livello di nucleo familiare e sarà basata sull’indicatore della situazione economica equivalente (Isee). In attesa dei decreti attuativi, il governo sostiene che l’ammontare elargito arriverà fino a 320 euro al mese.
Una delle critiche maggiori al Ddl è la limitatezza della platea a cui si rivolge. Con lo stanziamento di soli 1,6 miliardi per i primi due anni, la misura non raggiungerà tutti coloro che versano in condizioni di povertà; secondo l’Alleanza contro la povertà il provvedimento potrà raggiungere al massimo il 30 per cento degli indigenti, ovvero circa 1,3 milioni di persone. In particolare, il reddito darà la priorità ai nuclei familiari con figli minori, con disabilità grave, con donne in stato di gravidanza accertata o con persone con più di 55 anni di età in stato di disoccupazione. Il Ddl rimane poi vago sullo stanziamento a regime, menzionando che partirà da un miliardo e verrà esteso in base alle risorse contingenti. La proposta originale dell’Alleanza contro la povertà, invece, prevedeva uno stanziamento graduale del reddito d’inclusione ma con un costo a regime di circa 7,1 miliardi annui. Le risorse arriveranno dal Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, istituito con l’ultima legge di stabilità, e coperto dalla fiscalità generale, in quanto le economie derivanti dal riordino delle prestazioni di natura assistenziale, sebbene destinate al fondo, sono considerate eventuali. L’Italia si colloca agli ultimi posti in tutta l’Unione Europea per quanto riguarda l’efficacia delle misure di contrasto alla povertà. Nel 2014 i trasferimenti sociali e gli interventi di sostegno nel loro complesso hanno diminuito la percentuale di popolazione a rischio di povertà del 5,3 per cento contro la media europea dell’8,9 per cento; solo Grecia e Romania hanno fatto peggio di noi. Un intervento strutturale e organico nel contrasto alla povertà, ispirato a principi universalistici, e un riordino del sistema assistenziale, ora frammentato e inefficiente, potrebbero finalmente migliorare queste statistiche in un momento in cui la coesione sociale è sempre più a rischio.
Note
da Rapporto Svimez
2015
Sulla situazione economica del Mezzogiorno d’Italia
.Pil negativo per il settimo anno
consecutivo, con una crescita che dal 2001 al 2013 è stata meno della metà di
quella della Grecia. Divario record al 53,7% del Pil pro capite rispetto al
resto del Paese. Investimenti che continuano a cadere. Industria al tracollo,
con un valore aggiunto precipitato del 38,7% dal 2008 al 2014. Donne e giovani
fuori dal mercato del lavoro. Nascite al minimo storico da 150 anni, che
preannunciano uno «tsunami demografico». E un rischio su tutti: «Il
depauperamento di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe
impedire al Mezzogiorno di agganciare la possibile nuova crescita e trasformare
la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente».
Performance di gran lunga peggiore
della Grecia
Dal 2001 al 2014 il tasso di crescita cumulato della Grecia è stato pari a -1,7%. La performance più negativa dell’intera eurozona, ma mai quanto il Meridione d’Italia: -9,4%, contro il +1,5% del Centro-Nord.
Dal 2001 al 2014 il tasso di crescita cumulato della Grecia è stato pari a -1,7%. La performance più negativa dell’intera eurozona, ma mai quanto il Meridione d’Italia: -9,4%, contro il +1,5% del Centro-Nord.
Il malessere del mondo produttivo
Colpiscono le cifre sull’industria, per quel già citato crollo degli investimenti del 59,3% dal 2008 al 2014, oltre il triplo del calo pesante registrato al Centro-Nord (-17,1%), e per la flessione del 35% del valore aggiunto, a fronte del -17,2% nel resto d’Italia. Nello stesso periodo calano anche le costruzioni (-47,4% gli investimenti, -38,7% il valore aggiunto) e i servizi (-33% gli investimenti, -6,6% il valore aggiunto). Non va meglio per l’agricoltura: investimenti -38%. Negative anche le esportazioni: nel 2014 sono calate del 4,8% contro la crescita del 3% al Centro-Nord. E si sono dimezzate al Sud le agevolazioni alle imprese sul totale nazionale: erano il 63,5% nel 2008, sono diventate il 33,2% nel 2013. Il pericolo, per Svimez, è quello già denunciato nel Rapporto 2014: una «desertificazione industriale».
Colpiscono le cifre sull’industria, per quel già citato crollo degli investimenti del 59,3% dal 2008 al 2014, oltre il triplo del calo pesante registrato al Centro-Nord (-17,1%), e per la flessione del 35% del valore aggiunto, a fronte del -17,2% nel resto d’Italia. Nello stesso periodo calano anche le costruzioni (-47,4% gli investimenti, -38,7% il valore aggiunto) e i servizi (-33% gli investimenti, -6,6% il valore aggiunto). Non va meglio per l’agricoltura: investimenti -38%. Negative anche le esportazioni: nel 2014 sono calate del 4,8% contro la crescita del 3% al Centro-Nord. E si sono dimezzate al Sud le agevolazioni alle imprese sul totale nazionale: erano il 63,5% nel 2008, sono diventate il 33,2% nel 2013. Il pericolo, per Svimez, è quello già denunciato nel Rapporto 2014: una «desertificazione industriale».
Il lavoro che non c’è: nel 2014
occupati sotto i 6 milioni
Inevitabili i riflessi sull’occupazione. Negli anni della crisi nel Mezzogiorno è caduta del 9%, oltre sei volte più che al Centro-Nord. Delle 811mila persone che hanno perso il lavoro tra il 2008 e il 2014, ben 576mila sono residenti al Sud. Che concentra il 26% appena degli occupati d’Italia ma il 70% delle perdite determinate dalla recessione. Nel solo 2014 il Meridione ha perso 45mila posti, arrivando a 5,8 milioni di occupati, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni e raggiungendo il livello più basso almeno dal 1977, l’anno da cui sono disponibili le serie storiche dell’Istat. Una prova - spiega la Svimez - «del processo di crescita mai decollato» e del «livello di smottamento del mercato del lavoro meridionale».
Inevitabili i riflessi sull’occupazione. Negli anni della crisi nel Mezzogiorno è caduta del 9%, oltre sei volte più che al Centro-Nord. Delle 811mila persone che hanno perso il lavoro tra il 2008 e il 2014, ben 576mila sono residenti al Sud. Che concentra il 26% appena degli occupati d’Italia ma il 70% delle perdite determinate dalla recessione. Nel solo 2014 il Meridione ha perso 45mila posti, arrivando a 5,8 milioni di occupati, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni e raggiungendo il livello più basso almeno dal 1977, l’anno da cui sono disponibili le serie storiche dell’Istat. Una prova - spiega la Svimez - «del processo di crescita mai decollato» e del «livello di smottamento del mercato del lavoro meridionale».
Allarme donne e giovani
C’è un allarme specifico che riguarda le donne (lavora soltanto il 20,8% contro una media Ue del 51%) e i giovani: tra il 2008 e il 2014 il Sud ha perso 622mila posti tra gli under 34 (-31,9%) mentre ne ha guadagnati 239mila tra gli over 55. Per gli under 24 nel 2014 il tasso di disoccupazione ha sfiorato il 56%, contro il 35,5% del Centro-Nord. Parla da solo il dato sui neet (quelli che non studiano e non lavorano): nel 2014 in Italia sono aumentati del 25% rispetto al 2008, arrivando a 3,5 milioni. Quasi due milioni sono meridionali.
C’è un allarme specifico che riguarda le donne (lavora soltanto il 20,8% contro una media Ue del 51%) e i giovani: tra il 2008 e il 2014 il Sud ha perso 622mila posti tra gli under 34 (-31,9%) mentre ne ha guadagnati 239mila tra gli over 55. Per gli under 24 nel 2014 il tasso di disoccupazione ha sfiorato il 56%, contro il 35,5% del Centro-Nord. Parla da solo il dato sui neet (quelli che non studiano e non lavorano): nel 2014 in Italia sono aumentati del 25% rispetto al 2008, arrivando a 3,5 milioni. Quasi due milioni sono meridionali.
In arrivo «tsunami» demografico
A tutto ciò si aggiunge il calo delle nascite, che non accenna a fermarsi (persino gli stranieri iniziano a fare meno figli), e la migrazione verso il Centro-Nord che dal 2001 al 2014 ha interessato oltre 1,6 milioni di persone. «Un intreccio perverso», lo definisce la Svimez. «Il Sud sarà interessato nei prossimi anni - avverte il rapporto - da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, a fronte di una crescita di 4,6 milioni nel Centro-Nord».
A tutto ciò si aggiunge il calo delle nascite, che non accenna a fermarsi (persino gli stranieri iniziano a fare meno figli), e la migrazione verso il Centro-Nord che dal 2001 al 2014 ha interessato oltre 1,6 milioni di persone. «Un intreccio perverso», lo definisce la Svimez. «Il Sud sarà interessato nei prossimi anni - avverte il rapporto - da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, a fronte di una crescita di 4,6 milioni nel Centro-Nord».
Una persona su tre a rischio povertà
Il risultato è la povertà: dal 2011 al 2014 le famiglie assolutamente povere sono aumentate in Italia del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord. Ma nel 2013 una persona su tre nel Mezzogiorno era a rischio povertà, contro una su dieci al Centro-Nord. Sicilia e Campania le regioni dove il pericolo è più elevato. Quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord. Ennesima faccia di un Paese «sempre più diviso e diseguale».
Il risultato è la povertà: dal 2011 al 2014 le famiglie assolutamente povere sono aumentate in Italia del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord. Ma nel 2013 una persona su tre nel Mezzogiorno era a rischio povertà, contro una su dieci al Centro-Nord. Sicilia e Campania le regioni dove il pericolo è più elevato. Quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord. Ennesima faccia di un Paese «sempre più diviso e diseguale».
MONDO
FINANZIARIO E ECONOMIA
REALE
Aumenta drammaticamente il
divario fra le finalità
del mondo finanziario
e la economia
reale a livello globale.
Il sistema
bancario globale rivela tutte le sue criticità , invischiato in operazioni
finanziarie di tipo speculativo e
contestualmente bloccato nella circolazione di denaro nei confronti delle
attività produttive di beni e servizi e degli investimenti in
opere infrastrutturali e nell’economia del mondo reale.
In Italia la situazione economica presenta uno stato di
assai debole crescita del PIL (
nonostante vi siano al momento fattori positivi per il basso costo del
petrolio) , mentre ancora troppo elevato è il rapporto ( 130 ) riguardo al
debito pubblico ( oltre 1.200 mld di euro ).
Il mondo
delle imprese registra gravi difficoltà
a causa del forte calo della
domanda ( interna e estera ) , sia a causa degli oneri di natura
fiscale sia per le complessità burocratiche , che per il
loro eccessivo peso , ostacolano ogni tentativo di ripresa , di
ristrutturazione , di investimenti nel
mercato privato e pubblico.
Il sistema
bancario italiano , nonostante le dichiarazioni pubbliche da parte del Governo
, attestanti la solidità delle banche stesse , registra anch’esso forti
criticità , a causa degli investimenti definiti tossici , delle sofferenze
dovute ai crediti non riscossi , chiuso in se stesso per una
profonda sfiducia nei confronti
del mercato esterno e quindi in una condizione di stagnazione finanziaria.
Il sistema Europa funziona male , irrigidito in
una politica di rigore tecnocratico e da
ristrettezze di idee , che stanno dando
sempre di più prova di inefficienza e di
appiattimento verso condizioni di
depressione , di recessione , di paure , di
un aggravamento allarmante del divario fra ceti benestanti e fasce
sociali sempre più povere, in specie riguardo ai Paesi economicamente più
deboli , come Italia e Grecia .
Il Governo
italiano , in tale contesto di crisi , si mostra come schiacciato , quasi oppresso dalle pressanti richieste europee di rispetto delle
regole di bilancio , e allo stesso tempo
incapace di trovare al proprio interno soluzioni valide , tramite interventi che finalmente riescano
a ridurre sprechi di risorse pubbliche , a
ripristinare criteri di equità in campo fiscale e sociale , eliminare
privilegi di caste , snellire gli apparati amministrativi e le norme
burocratiche , condurre una efficace lotta alla evasione
fiscale e conseguentemente ricavare le
risorse economiche necessarie; soprattutto per realizzare interventi che riescano a porre in essere
progetti e investimenti in importanti e
produttive attività e opere pubbliche in tutto il territorio nazionale , con
particolare attenzione riguardo alle regioni centro meridionali.
Tutto questo
, il Governo del nostro Paese dovrebbe
urgentemente fare , per consentire alle risorse umane imprenditoriali di
trovare significativi sbocchi e uscite dalla crisi, unitamente ai sempre più necessari
interventi politici e di persuasione nei
confronti del contesto Europeo ad aprirsi a politiche economiche più flessibili
, anche se attente al controllo e a prevenire e combattere gli sprechi e ogni
attività speculativa di natura illecita .
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Vengono
riportati , qui di seguito , alcuni
stralci delle notizie di stampa ( oggi 12 febbraio 2016 ) del quotidiano Il Sole 24 ore :
…( Sole
24/ore )…Bassa crescita globale, calo dei prezzi e mancanza di coordinamento
tra le autorità rendono la crisi in corso forse meno grave di quella del 2008,
ma ancora più intricata. Come allora l’epicentro è il sistema finanziario.
Quello che fa una banca è finanziarsi a breve termine per poi impiegare quel
denaro in prestiti a più lunga scadenza. Quanto maggiore è la differenza tra i
tassi a lunga e quelli a breve e tanto più una banca guadagna. Con un’economia
sull’orlo della deflazione, la redditività delle banche sparisce perché anche i
tassi a lunga sono vicini a zero. La crisi bancaria a sua volta aggrava la
depressione economica.
.La
normalizzazione dei tassi non sarebbe arrivata e i dubbi sulla redditività
delle banche si sono aggravati di colpo trascinando le Borse mondiali.
La Bce ha
cercato di assicurare che avrebbe contrastato la deflazione con ogni mezzo.
Mario Draghi ha dichiarato che non ci sono freni alla capacità di stimolo, né
pavimenti che limitino il livello negativo dei tassi. In effetti, invece, le
banche commerciali non riescono a trasferire sui clienti i tassi negativi e
questo significa che le politiche dei tassi negativi aggravano le perdite delle
banche fino a ridurre la loro capacità di credito all’economia.
Per le banche centrali sembra una situazione senza via d’uscita: non possono alzare i tassi, né ridurli senza gravi conseguenze.
Ma il beneficio di aver vissuto la crisi del 2008 è che qualcosa dovremmo averla imparata. Le autorità fiscali sanno che devono rilanciare la domanda in un contesto di stagnazione in cui la politica monetaria ha esaurito le proprie armi. Le banche sono in crisi infatti anche perché la debolezza della ripresa comporta che la domanda di credito sia mediocre. Magari accelera la domanda di mutui ma non quella di prestiti delle imprese, la cui debolezza si riflette nella scarsità di investimenti. Eppure solo l’aumento del volume dei crediti avrebbe potuto compensare la minor redditività delle banche dovuta al calo dei tassi.
Per le banche centrali sembra una situazione senza via d’uscita: non possono alzare i tassi, né ridurli senza gravi conseguenze.
Ma il beneficio di aver vissuto la crisi del 2008 è che qualcosa dovremmo averla imparata. Le autorità fiscali sanno che devono rilanciare la domanda in un contesto di stagnazione in cui la politica monetaria ha esaurito le proprie armi. Le banche sono in crisi infatti anche perché la debolezza della ripresa comporta che la domanda di credito sia mediocre. Magari accelera la domanda di mutui ma non quella di prestiti delle imprese, la cui debolezza si riflette nella scarsità di investimenti. Eppure solo l’aumento del volume dei crediti avrebbe potuto compensare la minor redditività delle banche dovuta al calo dei tassi.
PER LA
CRESCITA ECONOMICA E
SOCIALE DEL PAESE
La vera e reale crescita economica e
sociale del Paese si può ottenere sicuramente se si basa principalmente su due
punti di forza fondamentali : a) Importanti investimenti economico- finanziari
e organizzativi-struttutali , pubblici , sulla manutenzione e
ristrutturazione di opere pubbliche , quali scuole , ospedali ,
strade , ferrovie , ponti , argini fiumi e torrenti , etc...) , e
pubblici e privati sulla ricerca scientifica e tecnologica e per la produzione
di beni e servizi sociali ; b ) Sinergia e collaborazione delle intelligenze in
campo di ricerche scientifiche e tecnologiche , organizzate in start up .
- Anche se la disoccupazione registra un lieve discesa, però essa non è l'unico parametro per verificare quanto effettivamente una famiglia sia in difficoltà. Per avere una risposta più ampia, infatti, si parla di 'disagio sociale' e si scopre che è diventata più larga la mappa degli italiani che fanno i conti con l'assenza di posti di lavoro: è aumentata del 3% da settembre 2014 a settembre 2015. Nel bacino dei deboli 283mila persone in più, secondo i dati elaborati da Unimpresa. Il risultato è che oltre 9,5 milioni di italiani non ce la fanno e sono a rischio povertà.
Nel dettaglio, spiega una nota, da settembre 2014 a settembre 2015 altre 283mila persone sono entrate nel bacino dei deboli in Italia: complessivamente, adesso, si tratta di 9 milioni e 533 mila soggetti in difficoltà. Ai disoccupati vanno aggiunte ampie fasce di lavoratori, ma con condizioni precarie o economicamente deboli che estendono la platea degli italiani in crisi. Si tratta di un'enorme "area di disagio": agli oltre 3 milioni di persone disoccupate, bisogna sommare anzitutto i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (740mila persone) sia quelli a orario pieno (1,83 milioni); vanno poi considerati i lavoratori autonomi part time (821mila), i collaboratori (346mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,68 milioni). Questo gruppo di persone occupate - ma con prospettive incerte circa la stabilità dell'impiego o con retribuzioni contenute - ammonta complessivamente a 6,43 milioni di unità. Il totale del'area di disagio sociale, calcolata dal Centro studi di Unimpresa sulla base dei dati Istat, oggi comprende dunque 9,53 milioni di persone, in aumento rispetto a un anno fa di 283mila unità (+3,1%).
- Anche se la disoccupazione registra un lieve discesa, però essa non è l'unico parametro per verificare quanto effettivamente una famiglia sia in difficoltà. Per avere una risposta più ampia, infatti, si parla di 'disagio sociale' e si scopre che è diventata più larga la mappa degli italiani che fanno i conti con l'assenza di posti di lavoro: è aumentata del 3% da settembre 2014 a settembre 2015. Nel bacino dei deboli 283mila persone in più, secondo i dati elaborati da Unimpresa. Il risultato è che oltre 9,5 milioni di italiani non ce la fanno e sono a rischio povertà.
Nel dettaglio, spiega una nota, da settembre 2014 a settembre 2015 altre 283mila persone sono entrate nel bacino dei deboli in Italia: complessivamente, adesso, si tratta di 9 milioni e 533 mila soggetti in difficoltà. Ai disoccupati vanno aggiunte ampie fasce di lavoratori, ma con condizioni precarie o economicamente deboli che estendono la platea degli italiani in crisi. Si tratta di un'enorme "area di disagio": agli oltre 3 milioni di persone disoccupate, bisogna sommare anzitutto i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (740mila persone) sia quelli a orario pieno (1,83 milioni); vanno poi considerati i lavoratori autonomi part time (821mila), i collaboratori (346mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,68 milioni). Questo gruppo di persone occupate - ma con prospettive incerte circa la stabilità dell'impiego o con retribuzioni contenute - ammonta complessivamente a 6,43 milioni di unità. Il totale del'area di disagio sociale, calcolata dal Centro studi di Unimpresa sulla base dei dati Istat, oggi comprende dunque 9,53 milioni di persone, in aumento rispetto a un anno fa di 283mila unità (+3,1%).
Saviano:
Italia, il Paese senza start up condannato al declino
Ricerca e sviluppo sono due parole che trovano senso
solo quando le si pronuncia insieme. E sono esattamente ciò di cui avrebbe
bisogno l’Italia per poter avviare davvero quella ripresa economica che sembra
essere dietro l’angolo, ma che non si riesce a raggiungere.
La strada è lunga e le cose da fare
sono tante, questa è una giustificazione che non regge quando facciamo i conti
in tasca al settore che davvero farebbe la differenza, ovvero quello della
ricerca e della necessaria attuazione dei risultati degli studi effettuati.
A quanto pare, invece, i dati sugli investimenti in start up del 2015 sono assimilabili a quelli dell’anno precedente: 40 milioni circa nel 2014 e 20 milioni nel primo semestre del 2015, mentre aspettiamo i dati definitivi relativi alla seconda metà dell’anno. Si tratta di cifre assolutamente irrisorie e prive di costanza, se paragonate a quelle di altri Paesi europei come la Germania o la Francia. Il risultato è che l’Italia può vantare studi eccellenti, ricerche importanti e pubblicazioni divulgate e consultate dalla comunità scientifica internazionale, ma scarsi investimenti per perfezionare la ricerca e renderla innovazione. Per diventare, in una parola, leader e non sempre e solo utenti, fruitori. Eppure in tempi di crisi economica e di disoccupazione al 12 per cento (quella femminile al Sud è in crescita e non in diminuzione) investire in sviluppo sarebbe forse l’unico modo per dare una significativa scossa a un sistema sostanzialmente in stallo. E gli investimenti dovrebbero smettere di avere il sapore dell’elemosina, dovrebbero essere investimenti diretti e non solo sotto forma di incentivi fiscali.
A quanto pare, invece, i dati sugli investimenti in start up del 2015 sono assimilabili a quelli dell’anno precedente: 40 milioni circa nel 2014 e 20 milioni nel primo semestre del 2015, mentre aspettiamo i dati definitivi relativi alla seconda metà dell’anno. Si tratta di cifre assolutamente irrisorie e prive di costanza, se paragonate a quelle di altri Paesi europei come la Germania o la Francia. Il risultato è che l’Italia può vantare studi eccellenti, ricerche importanti e pubblicazioni divulgate e consultate dalla comunità scientifica internazionale, ma scarsi investimenti per perfezionare la ricerca e renderla innovazione. Per diventare, in una parola, leader e non sempre e solo utenti, fruitori. Eppure in tempi di crisi economica e di disoccupazione al 12 per cento (quella femminile al Sud è in crescita e non in diminuzione) investire in sviluppo sarebbe forse l’unico modo per dare una significativa scossa a un sistema sostanzialmente in stallo. E gli investimenti dovrebbero smettere di avere il sapore dell’elemosina, dovrebbero essere investimenti diretti e non solo sotto forma di incentivi fiscali.
Quello che accade, invece,
nonostante la riforma dell’Università, è che ad anni di studi e di ricerca non
segue alcuna possibilità di costruzione di un percorso, nemmeno nelle realtà in
cui il tessuto economico aveva per vocazione la nascita di piccole e medie
imprese, che hanno costituito per decenni la struttura economica portante del
nostro Paese. Quello che accade è che dopo anni di studi in Italia, chi ha le
possibilità per poter cercare un percorso fuori, si affretta a lasciare il
Paese che ha fornito il know how, per diventare altrove una risorsa preziosa.
Sono lontani gli anni in cui a studiosi italiani che andavano a farsi le ossa all’estero corrispondeva un numero assimilabile di studiosi stranieri che veniva in Italia a completare il proprio percorso. La nostra emigrazione scientifica è a senso unico, ed è in uscita e difficilmente si torna indietro perché mancano completamente prospettive, perché manca una visione. È evidente che continuare ad agire come se questo fosse un problema tutto sommato secondario, non farà che votarci a diventare negli anni, non ne passeranno molti, un Paese sempre più marginale (essere posizionati, per crescita, tra Portogallo e Grecia dovrebbe farci comprendere che è tempo di cambiare rotta) e a nulla servirà fare appello a un passato glorioso che rispolveriamo in maniera utilitaristica, senza davvero riuscire a sopportarne il peso. Un Paese in cui alla mancanza di diritti civili basilari si affianca anche la mancanza di prospettive reali di realizzazione e l’impossibilità di poter contribuire con il proprio lavoro e i propri talenti al miglioramento delle condizioni di vita di tutti, è un Paese nel quale si resta quasi esclusivamente per mancanza di alternative.
E tutto è immobile mentre assistiamo al Nord alla fine della tradizione imprenditoriale e mentre al Sud vantiamo bellezze naturali rese irraggiungibili da vie di comunicazione impraticabili.
Sono lontani gli anni in cui a studiosi italiani che andavano a farsi le ossa all’estero corrispondeva un numero assimilabile di studiosi stranieri che veniva in Italia a completare il proprio percorso. La nostra emigrazione scientifica è a senso unico, ed è in uscita e difficilmente si torna indietro perché mancano completamente prospettive, perché manca una visione. È evidente che continuare ad agire come se questo fosse un problema tutto sommato secondario, non farà che votarci a diventare negli anni, non ne passeranno molti, un Paese sempre più marginale (essere posizionati, per crescita, tra Portogallo e Grecia dovrebbe farci comprendere che è tempo di cambiare rotta) e a nulla servirà fare appello a un passato glorioso che rispolveriamo in maniera utilitaristica, senza davvero riuscire a sopportarne il peso. Un Paese in cui alla mancanza di diritti civili basilari si affianca anche la mancanza di prospettive reali di realizzazione e l’impossibilità di poter contribuire con il proprio lavoro e i propri talenti al miglioramento delle condizioni di vita di tutti, è un Paese nel quale si resta quasi esclusivamente per mancanza di alternative.
E tutto è immobile mentre assistiamo al Nord alla fine della tradizione imprenditoriale e mentre al Sud vantiamo bellezze naturali rese irraggiungibili da vie di comunicazione impraticabili.
Mi è capitato spesso di lanciare
provocazioni, di invitare a individuare quelle aree, tra le più disagiate al
Sud, e trasferirvi le sedi (non redazioni secondarie, ma sedi centrali) dei
maggiori quotidiani nazionali per vedere come il racconto dell’Italia cambia se
cambiano le prospettive. E poi in quelle stesse aree favorire la nascita di poli
di innovazione, delle piccole Silicon Valley che possano rappresentare il
futuro e la speranza del nostro Paese. Ma le provocazioni hanno un senso se c’è
qualcuno che abbia voglia di coglierle e di ragionare. Hanno un senso se nel
Paese c’è ancora qualcuno che crede che nonostante lo sfascio, nonostante i
proclami, nonostante le menzogne, ci siano ancora possibilità reali di
ripartire davvero, mettendo i capitali dove vanno messi, investendo dove ha
senso investire.
(Roberto Saviano - L'Espresso)
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